Intervista di Sabrina Lucatelli a Emanuele Piccardo, architetto, critico di architettura, fotografo e nostro socio, da un decennio che si occupa di progetti nelle aree interne, prima nell’Appennino genovese e negli ultimi anni in Alta Val Tanaro, in quella porzione della provincia di Cuneo al confine con la Liguria. Nell’estate 2021 organizza la Petites Folies Summer School a Garessio.
SL: Come nasce l’idea della Petites Folies Summer School?
EP: L’idea nasce nel settembre 2020 durante un sopralluogo a Garessio, nella provincia di Cuneo al confine con la Liguria, un area interna della Alta Val Tanaro flagellata da tre alluvioni in trent’anni.
L’assessore alla rigenerazione urbana, l’architetto Lara Sappa, mi ha chiamato per organizzare una summer school che potesse agire in un territorio fragile. Così è iniziato un dialogo per individuare il sito in cui operare e risolvere un problema. Il tema fin dall’inizio è stato il bosco – che rappresenta il patrimonio di Garessio – letto dal punto di vista architettonico e da quello fotografico, con il lavoro mio e di Marco Introini. Se nella prima fase la possibilità era intervenire nel bosco attorno alla Reggia Sabauda di Casotto, una magnifica architettura realizzata tra il XIV e il XVII secolo, abbiamo constatato che le difficoltà logistiche non avrebbero consentito di realizzare la scuola in assenza di una foresteria, prevista dal progetto di recupero della Regione Piemonte, ma non ancora realizzata. A questo si aggiungeva anche la difficoltà, vista la distanza di venti chilometri da Garessio, nel reperire il necessario per il vitto.
Così abbiamo deciso di riorganizzare lo spazio dei ruderi del castello al borgo medievale del paese che ha dato i natali al designer Giorgetto Giugiaro e all’artista Giuseppe Penone.
Il castello, per anni abbandonato a se stesso (di proprietà privata in concessione al comune), è molto frequentato da abitanti e turisti ma aveva bisogno di essere rigenerato. Abbiamo deciso di progettare un belvedere sulle Alpi Liguri, ridando così forma a un luogo disordinato.
SL: Qual è stato il ruolo dei giovani partecipanti?
EP: Abbiamo fatto una call internazionale aperta a studenti e neo-laureati, non solo di architettura, per ampliare al massimo le competenze. Tra gli l’altri è stata selezionata una coppia, Jacopo e Martina, lui cuoco e lei filosofa, al pari di studenti di architettura provenienti da università italiane (Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Università di Bologna, Università di Pisa) e dalla Strate School of Design di Lione. Dalla call ne abbiamo selezionati tredici che hanno partecipato alla summer school sotto il mio coordinamento e il tutoraggio di Luigi Greco e Mattia Paco Rizzi fondatori dello studio di architettura GRRIZ, i quali hanno condotto il cantiere di autocostruzione della durata di una settimana. I partecipanti sono stati suddivisi in gruppi seguendo compiti specifici, dalla elaborazione progettuale della struttura esterna del belvedere, “la pelle”, fino agli arredi da collocare nell’area del castello per fare le grigliate. Come accade in ogni cantiere di autocostruzione i progettisti invitati, i GRRIZ, elaborano un progetto di massima che viene discusso e migliorato durante la scuola, così è successo a Garessio.
SL: La Comunità locale come ha reagito?
EP: Quando il belvedere, che abbiamo chiamato Archibüse in omaggio alla erba da cui si trae l’omonimo liquore, è stato inaugurato i garessini e i turisti lo hanno preso d’assalto. La migliore dimostrazione della necessità di riprogettare quel luogo dando forma a uno spazio disordinato. All’inizio molta diffidenza ha accompagnato il nostro lavoro, come accade sempre per i “forestieri”, con un interesse da parte di persone anziane, purtroppo nessun giovane si è avvicinato a “socializzare” con i loro coetanei che stavano realizzando un progetto per il loro paese.
In realtà come Garessio i giovani hanno poca creatività e scarso impegno civico, sfogano la marginalità del territorio con l’agonismo sportivo, le arrampicate e lo sci sulle montagne circostanti ma soprattutto con la caccia al cinghiale, capriolo…
SL:Quale è stata la relazione con le Istituzioni locali?
EP: Il progetto nasce dalla sinergia tra plug_in, l’associazione culturale di cui sono presidente, e il Comune di Garessio per via di Lara Sappa che, insieme all’assessore allo sport Roberto Sandini, è stata l’artefice di tutta l’operazione, pur essendo entrambi dimissionari dalla giunta del sindaco Ferruccio Fazio. Sarebbe ipocrita non ammettere le difficoltà di rapporti con l’amministrazione comunale prima e dopo la scuola, come se l’Archibüse fosse un peso piuttosto che una risorsa turistica e culturale per il paese. I progettisti hanno consegnato una sorta di vademecum in cui indicano la tempistica della manutenzione. Ora tocca al Comune e alla comunità locale prendersi cura di questo nuovo bene comune rappresentato dall’Archibüse.
SL: Quali sono i risultati e le ricadute attese?
EP: Il risultato principale è aver risolto un problema di fruizione di un’area frequentata per osservare il panorama e fare le grigliate. Petites Folies ha dato forma a questa istanza dei frequentatori mettendo ordine e creando una opportunità affinché tutti possano beneficiare di questo “utensile” del bosco. Le ricadute auspicabili sono un incremento del turismo green e sostenibile che, partendo dall’Archibüse, possa contagiare il tessuto economico garessino, non è un caso che i più entusiasti siano stati proprio i commercianti. E una migliore fruizione dei propri luoghi da parte della Comunità locale.
SL:In quale aspetto é stata un’esperienza innovativa e replicabile?
EP: Petites Folies è un modello di scuola di architettura replicabile in altre aree interne come all’interno delle città. L’innovazione è fondata su un approccio didattico sperimentale formalizzato dal cantiere di autocostruzione che, in una settimana, costruisce una micro architettura. Questo avviene con il coinvolgimento degli abitanti e degli studenti. In questo modo si risolve un piccolo problema legato alle esigenze della comunità locale, con particolare attenzione allo spazio pubblico, sia esso una piazza o un’area per lo sport e il tempo libero. Petites Folies diventa un modello di fare didattica applicata al cantiere di architettura, in un tempo limitato con costi sostenibili e l’uso di materiali a basso impatto come il legno. Inoltre abbiamo attivato un’ala della reggia sabauda di Casotto come spazio per esposizioni temporanee, dove abbiamo esposto la ricerca fotografica “Nel Bosco” proprio sul patrimonio boschivo di Garessio.
SL: Come si può lavorare d’anticipo per ottenere una migliore partecipazione della Comunità locale?
Innanzitutto programmando all’inizio del progetto con la committenza, ma devo anche dire che serve una capacità di comprendere i temi che il luogo ci indica. Il successo del belvedere presso gli abitanti di Garessio e gli escursionisti è avvenuto perché siamo stati capaci di risolvere un problema, questa è una prerogativa di un certo modo di fare architettura che si pone in ascolto del luogo. In questo caso i sopralluoghi, le fotografie e i ragionamenti successivi fatti con Lara Sappa hanno tracciato la via. La partecipazione non è la panacea, spesso si usa per generare un cnsenso finto e porta a risultati insoddisfacenti, ci si innamora del processo, che è importante, ma è fondamentale l’impatto presente e futuro di una azione sul territorio.
Per saperne di più:
https://drive.google.com/file/d/1mOri_wK7FhLs3NoKEdrLUzRGJRBcrs9j/view?usp=sharing