LE AREE INTERNE TRA ABBANDONI E RICONQUISTE

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Donne Irpine

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Mentre la rappresentazione contemporanea del Mezzogiorno guarda solo e soltanto alla depressione economica e al grande impoverimento culturale dettato dall’abbandono delle aree marginali, un esercito di formiche sperimenta una nuova forma di eusocialità, tesa a riscattare se stesse dalla pesante gabbia di retaggi culturali e, nel contempo il territorio in cui hanno scelto di abitare. Si tratta di una angolazione inedita di osservazione di un territorio come la Campania interna calata nel più grande contesto del Mezzogiorno d’Italia dove le donne emergono e costruiscono crescita e progresso. Ma i segnali di una tiepida inversione di tendenza appaiono nulli se continuiamo a considerare soltanto le statistiche sull’occupazione, l’arretratezza dei servizi e la totale assenza del welfare. Di qui è nato il progetto di ricerca: una indagine sociologica condotta attraverso 82 interviste realizzate ad oltre 100 donne della provincia di Avellino trasversali per età e censo, che occupano posti apicali e che si sono distinte nella società per avere apportato crescita e progresso. 

Sia chiaro, il mio intento non è mai stato quello di raccontare le donne per agganciare l’onda neo femminista del momento, né quello di raccontare il territorio per sdoganare le quote rosa. L’obiettivo assai ambizioso, era quello di contestare quell’adagio proposto da Gianfranco Viesti- ordinario della facoltà di economia all’università di Bari- per cui “essere giovane, donna e meridionale moltiplica al cubo le difficoltà”, per ribaltare la piramide e innescare un processo nuovo. Un’autentica follia narrativa se solo consideriamo gli ultimi dati licenziati dall’Istat sulla elevatissima percentuale di donne che hanno perso il lavoro dall’inizio della pandemia; oppure la strategia annunciata dall’uscente Ministra Catalfo sull’occupazione dei “giovani, donne e meridionali” di cui sopra. 

Quello che davvero questa ricerca è riuscita a contestare è la narrazione di questi luoghi e delle meridionali di oggi. Per troppo abbiamo lasciato che fossero le sagome disegnate da Sciascia o da Carlo Levi a tratteggiare i retaggi culturali del Sud. Contrariamente alla narrativa corrente, che continua a rappresentare le donne del Mezzogiorno col capo coperto da ampi fazzoletti, vestite a lutto, contadine intente ad arare i campi. Non sono queste le donne della Campania interna, che ogni giorno combattono per crescere, per emanciparsi, per competere alla pari. Ogni intervista realizzata è stata cucita su misura su ogni “personaggio”: nel raccontare se stesse, le Irpine hanno raccontato l’impegno investito sul territorio, le tracce lasciate, e hanno tratteggiato il profilo socio-economico e culturale di riferimento, oltre alle ambizioni future per i figli. 

E’ emerso dunque che il ruolo della donna nella società civile è troppo spesso relegato a fattore statistico. Quote e percentuali rosa rappresentano l’alibi per una opinione pubblica che fatica a valutare il peso specifico della presenza femminile nelle attività produttive, sociali e culturali. In un Mezzogiorno intimamente matriarcale, le donne sono capaci di incidere ben oltre quanto possano testimoniare tabelle più o meno improvvisate e, soprattutto, poco scientifiche. Se nella Sicilia raccontata da Leonardo Sciascia le donne sono tradizionalmente tanto protagoniste nel privato familiare quanto silenti nella vita pubblica, in questo volume la parola è consegnata alle irpine che ogni giorno, con il proprio impegno, lavoro e dedizione, contribuiscono alla civiltà e alla ricchezza di un territorio ricco di risorse naturali scarsamente valorizzate. Se l’autorità delle madri è tanto sovrana da far pensare ad un regime matriarcale, come scriveva Carlo Levi nel suo ‘Cristo si è fermato ad Eboli’, quelli tratteggiati dalle interviste raccolte in queste pagine sono i volti di una comunità che sa guardare avanti con forza, autorevolezza e fiducia. Imprenditrici o filantrope, insegnanti o impegnate nella politica o nelle professioni, in un’ultima analisi sono un esempio per le nuove generazioni nate in questa difficile fase d’avvio del nuovo millennio, al di là delle considerazioni sul genere, sulla età o sul ceto. 

In questa raccolta si raccontano donne intelligenti, intraprendenti, sagge, che spesso stentano ad emergere perché certi contesti restano proibitivi, oppure perché si stenta a credere che una moglie e madre possa essere una manager di successo. È vero: in ogni ambiente lavorativo le donne restano oggetto di diffidenza, e subiscono la superficialità di chi non riconosce il ruolo professionale. Ancora oggi i pazienti che entrano nello studio della dermatologa le guardano prima la mano sinistra per controllare che abbia la fede al dito, oppure si rivolgono a lei chiedendo “Signora o signorina?”, mai dottoressa. 

Dal volontariato alla politica, dall’economia all’insegnamento, questa pubblicazione vuole raccontare un’Irpinia inedita, composta da 100 volti (in 82 interviste) che con il loro lavoro hanno dato forma alla storia e hanno lasciato e lasciano tracce importanti. Un esperimento che mi ha permesso di tirare fuori un coniglio dal cilindro, per infondere rassicurazioni ad una provincia come la nostra, e confortarla su una sua reale compartecipazione al mondo globalizzato. Le donne generano la vita ma ambiscono a fondare nazioni. Qui in Irpinia è possibile testimoniare una evidente operosità e laboriosità, in grado di muovere l’economia, di forgiare il progresso, la crescita e le innovazioni in tutti i campi. Nel solco di queste storie, questa provincia può trarre insegnamenti per il futuro e consegnare ai figli eredità pesanti e di successo. Nessuno le aveva mai raccontate come meritano, né vengono menzionate come “semi buoni” da piantare, o esempi da emulare. 

Altro scopo di questa pubblicazione, è stato quello di creare una piattaforma di confronto e dialogo, “dentro le mura” della pubblicazione, fra esperienze e testimonianze, da cui è possibile ricavare un minimo comune denominatore da cui partire, e quindi una rotta da tracciare e da consegnare alle giovani generazioni. A tre anni dalla divulgazione della ricerca, la contaminazione c’è stata: molte di loro, conoscendosi e confrontandosi, hanno avviato collaborazioni. Si sono arricchite, fanno e fanno insieme.  

Ciò che viene fuori dalla pubblicazione è che si stenta a valutare il peso specifico della presenza femminile nelle attività produttive, sociali e culturali. Le donne e il territorio sono un tutt’uno, che viene proiettato nella loro funzione nella società. Fino ad oggi abbiamo interpretato il ruolo della donna come intrappolato in una gabbia statistica, mentre lo scopo è rovesciare la piramide e dimostrare che non è più corretto parlare di emarginazione ma di protagonismo. Attraverso il racconto di sé e della loro professionalità le irpine tracciano il profilo di una provincia ricca di validi esempi da emulare. Cogliendo i dettagli della ricerca emerge una funzione nuova assegnata alle donne, che mai immaginano di sostituirsi agli uomini, ma intendono competere alla pari. Sono talmente integrate da essere parte essenziale della società perché sono energie vitali, ma anche profondamente consapevoli di una realizzazione di parte dell’uguaglianza sostanziale, e che è relativa soltanto al piano delle responsabilità. 

Questo è un racconto dell’Irpinia di oggi attraverso gli occhi delle donne, di mani usurate dal lavoro e rughe scavate dall’ingegno, in questo meridione che arranca a rimanere presente a se stesso e tenta di reinventarsi un protagonismo, a volte come sud Europa, altre come il nord Africa. Qui molto più che altrove l’affermazione del ruolo della donna in società è assai debole e precario: da un lato per le innumerevoli difficoltà che incontrano nell’ottenere giusti e dignitosi spazi nel campo del lavoro e dei diritti, e dall’altro a causa della terribile crociata sulla violenza di genere. L’Irpinia, in sintesi, è donna, ma resta ovattata in un provincialismo integralista che crea il paradosso: nonostante la robustezza e la copiosità delle militanti in rosa, pochissime accedono a ruoli istituzionali. 

Ciò nonostante, mentre analisti di grido e commentatori di piazza si affannano a leggere e interpretare la crisi del nostro tempo, per addebitare il crollo economico ora al Governo di turno, ora alla globalizzazione, le donne in Irpinia edificano cose e si sostituiscono agli utensili per modellare creta e argilla. Hanno imparato che chi fa- senza aspettare i tempi degli aiuti esterni- viene premiato e diventa contagioso. Molte hanno già metabolizzato la crisi economica del 2008, e tante sono pronte a fronteggiare gli effetti della pandemia. Sono state capaci di trarre insegnamenti e ridisegnare prospettive, tali da trasformare la crisi in opportunità: quello che è stato azzerato dalle contingenze economiche non deve essere considerato come un fallimento, ma viene interpretato come occasione di cambiamento. 

Il cambio di registro della narrazione non è l’unico risultato incassato. Il filo conduttore di queste interviste guarda alla cultura e alla conoscenza come potere. Ognuna di loro, dall’operatrice ecologica alla viticultrice hanno affermato che la formazione è la base di partenza di ogni percorso ed è lo strumento più efficace e affidabile per raggiungere traguardi soddisfacenti.  Qui si passa dalla riscoperta delle radici ancestrali alla corsa all’innovazione. Rammentare per rammendare e offrire una concreta opportunità di sviluppo a una terra ripiegata su se stessa che stenta a trovare una sua dimensione. 

Elisa Forte