LE AREE INTERNE TRA ABBANDONI E RICONQUISTE

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Nuovo Abitare. Tra consumo e (ri)costruzione: l’implosione dello spazio e la posta in gioco sulle aree interne

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Tra i tanti effetti della pandemia – considerata come solo l’ultimo tassello di quella che Edgar Morin ha definito come «policrisi» al contempo ecologica, economica, politica, sociale – vi è certamente il riemergere dello spazio, nella sua concreta dimensione fisica e materica. Spazio che, con la rivoluzione digitale e l’ampliarsi dell’uso di protesi meccaniche nell’utilizzo di città e territorio, era progressivamente scomparso dal nostro orizzonte e quadri culturali. Da questo punto di vista la cosiddetta Smart City ha rappresentato negli ultimi anni metafora perfetta, asettico dispositivo tecnologico aspaziale incentrato sull’ottimizzazione dello status quo esistente.

In termini più radicali, utilizzando il lessico di Saskia Sassen, si potrebbe dire che la costruzione di “margini sistemici” a scala planetaria sia andata di pari passo, a livello microfisico, con la creazione di margini interni in cui vengono meno le consuete modalità di produzione del valore (simbolico, economico, immobiliare, ecc.). La distruzione creativa di Schumpeter si è ridotta ad estrazione distruttrice. Non più capaci di generare valori e profitti, questi spazi sono oggetto di un sempre più veloce processo di espulsione a favore di altri e nuovi territori. Non si tratta quindi di un semplice di più rispetto ai consueti fenomeni di esclusione sociale o di impoverimento del tessuto economico, che richiede un conseguente di più in termini di policies: è proprio un cambiamento di stato che fa saltare i meccanismi usuali di funzionamento dello spazio.

Antonio De Rossi, architetto, è docente presso il Politecnico di Torino; nel 2018 ha curato il volume collettivo Riabitare l’Italia.

Laura Mascino, architetto, si occupa di rigenerazione e di welfare, ed è membro dell’associazione Riabitare l’Italia.