LE AREE INTERNE TRA ABBANDONI E RICONQUISTE

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Quartiere Sant’Ermete-Pisa

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di Sonia Paone

Sant’Ermete è un quartiere di case popolari situato nella periferia sud-est della città Pisa. Come molti altri quartieri di edilizia popolare Sant’Ermete presenta forti carenze sia sul piano architettonico che urbanistico. I 216 alloggi che lo compongono sono stati costruiti alla fine degli anni Quaranta in blocchi di 3 piani. Oggi gli alloggi versano in uno stato di forte degrado, hanno significativi problemi strutturali non essendo state fatte opere di manutenzione e a causa della scarsa qualità dei materiali utilizzati. Gli spazi pubblici esistenti nel quartiere si limitano a due sole aree che si trovano fra i blocchi. A creare una frattura con il tessuto urbano circostante contribuiscono anche delle barriere infrastrutturali prima fra tutte l’asse ferroviario che lo circonda. Il quartiere soffre di molti dei mali che affliggono le periferie italiane. Le aree periferiche, ovvero le zone di espansione della città al di fuori dei tessuti storici e consolidati, sono frutto di un pensiero progressivo ambizioso che mirava a costruire una città nuova a partire dalla centralità dell’alloggio attorno al quale predisporre tutta una serie di servizi e di spazi ad uso collettivo. Nella sua realizzazione la periferia più che la nuova città è divenuta sinonimo di abitare inferiore: gli insediamenti si sono concretizzati spesso in una ripetizione di moduli abitativi standardizzati che vanno a costituire paesaggi di margine, monotoni e alienanti in cui mancano spazi con valenze collettive, elementi di centralità e connessioni con il resto del tessuto urbano. Per il quartiere di Sant’Ermete è stato approvato nel 2013 un progetto di riqualificazione molto radicale visto che prevede la demolizione degli edifici esistenti, la realizzazione di nuovi moduli abitativi (246 alloggi), un significativo incremento della dotazione di verde pubblico e di servizi. L’avvio del progetto, nel quale è stata predisposta anche la creazione di alloggi volano in cui trasferire momentaneamente le famiglie residenti negli edifici demoliti, ma soprattutto i ritardi nella esecuzione hanno favorito la mobilitazione e la attivazione dei residenti. Innanzitutto, sono state portate avanti e sono in atto una serie di iniziative che accompagnano con proposte e suggerimenti la concreta realizzazione degli edifici, tutto ciò per colmare il divario che spesso si crea fra chi disegna lo spazio e chi concretamente lo vive, ma soprattutto per mantenere viva l’attenzione su una progettualità che ha tempi lunghi e quindi incerti. Inoltre nell’attesa della realizzazione del nuovo i residenti si sono mobilitati per prendersi cura dell’esistente attivando reti di prossimità e di solidarietà, organizzando eventi e momenti di incontro e condivisione, intervenendo sulla estetica dei luoghi, sono stati realizzati ad esempio sulle facciate dei blocchi 12 murales di street art. E’ potremmo dire, utilizzando le parole del filosofo Henri Lefebvre, in atto da parte degli abitanti del quartiere un faticoso tentativo di riappropriarsi della coscienza della capacità progettuale e creativa che nelle periferie è venuta meno ma che diventa un orizzonte di senso sempre più cruciale per riabitarle.

foto tratte da https://www.collettivoclan.it