Giuseppe Croce
“Sapienza” University of Rome
Sergio Scicchitano
Istituto Nazionale Analisi Politiche Pubbliche (INAPP)
e Global Labor Organization (GLO)
1 Introduzione
È stato stimato che almeno 3 milioni di dipendenti in Italia (circa il 13% del totale) hanno sperimentato il lavoro da casa durante la crisi da COVID-19. Prima della pandemia, l’Italia era il Paese europeo con la quota più bassa di lavoratori che facevano telelavoro, tuttavia con la crisi pandemica tale quota è ampiamente aumentata in un lasso di tempo molto breve e senza il supporto di una base normativa adeguata e di politiche mirate (Bonacini et al., 2021).
Dall’improvvisa diffusione del lavoro da casa durante la pandemia, nelle economie avanzate è emersa una crescente preoccupazione per il suo possibile impatto sulle città. L’impennata del lavoro da casa, infatti, non è un fenomeno transitorio che scomparirà con la fine del Covid-19 ma rappresenta verosimilmente uno shock permanente nel modo di lavorare che sta modificando la geografia del lavoro (Bentivogli, 2021; Mariotti, 2022). In particolare, può avere un notevole impatto sul legame tra lavoro e città.
Per un numero elevato e senza precedenti di lavoratori, la pandemia di Covid-19 ha portato a una sperimentazione forzata dei dispositivi tecnologici e degli assetti organizzativi abilitanti il lavoro da casa. Una volta che aziende e lavoratori hanno sostenuto i costi fissi significativi richiesti dal lavoro da casa a causa delle tecnologie, dei cambiamenti nei processi produttivi e dell’aggiornamento del capitale umano, è poco probabile che essi vogliano tornare indietro.
Dal punto di vista dei lavoratori, lavorare da casa può avere enormi implicazioni in quanto “scongela” le rigide coordinate di spazio e tempo del lavoro (Bentivogli 2020) e consente loro di distanziare la zona di residenza dal luogo di lavoro. Ciò rappresenta un’uscita dal modello di lavoro dipendente dominante nel secolo scorso. Questo richiedeva una vicinanza spaziale tra il luogo di residenza del lavoratore e i locali del datore di lavoro e implicava l’urbanizzazione di gran parte della popolazione. L’adozione del lavoro da casa su larga scala può rappresentare un’inversione della tendenza all’urbanizzazione, con i lavoratori che tornano a potersi spostare al di fuori delle città.
In un recente studio abbiamo provare a rispondere a tre domande: 1) nelle città più grandi è maggiore la capacità di lavorare da casa? 2) Le città più grandi mostrano una quota maggiore di lavoratori che realmente lavorano da casa? 3) Le città più grandi soffrono di una maggiore congestione e di prezzi delle abitazioni più elevati?
2 I fatti stilizzati
Per prima cosa testiamo l’evidenza empirica riguardante la relazione tra le città e il lavoro da casa potenziale. I dati dell’Indagine Italiana delle Professioni (ICP), attualmente svolta dall’INAPP, forniscono informazioni utili a valutare la capacità potenziale di lavorare da remoto dei lavoratori italiani. A tal fine, utilizziamo un indice di fattibilità del lavoro da casa (Barbieri e al., 2021) che viene calcolato per ogni professione a 5 cifre e varia da 0 (non è essenzialmente possibile) a 100 (è molto facilmente possibile).
Nella Figura 1 mostriamo la distribuzione provinciale dell’indice di fattibilità del lavoro a distanza. Non a caso, la percentuale di lavoratori che possono lavorare da casa è più alta nelle città più popolose, dove si concentrano la pubblica amministrazione e i servizi assicurativi e bancari, fornendo così una risposta affermativa alla prima delle nostre domande.
Figura 1. Quota di lavoratori con elevate capacità di lavorare da remoto: distribuzione provinciale
Fonte: Croce e Scicchitano (2022a). Elaborazione degli autori su micro-dati INAPP-ICP e ISTAT-RFL
Nella figura 2 classifichiamo le province italiane per densità di popolazione (oltre 1000, 100-999 e fino a 99) e calcoliamo la quantità di lavoro a distanza potenziale e reale. Con tutta evidenza le province con maggiore densità presentano valori più elevati di lavoro da casa sia potenziale che effettivo. Questo ci consente di rispondere affermativamente non solo alla prima ma anche alla seconda delle domande poste sopra.
Figura 2: densità di popolazione e WFH potenziale e reale tra le province italiane distinte per densità di popolazione
Fonte. Croce e Scicchitano (2022a). Elaborazione degli autori su micro-dati INAPP-ICP per il WFH potenziale e ISTAT-RFL per la densità di popolazione e per il WFH reale. Le bolle indicano il numero di residenti
Le città più grandi soffrono di una maggiore congestione e di prezzi delle abitazioni più elevati?
Per rispondere a quest’ultima domanda, consideriamo il tempo speso per il pendolarismo e i prezzi delle case. Per quanto riguarda il primo, ricaviamo la sua correlazione con la densità di popolazione su base provinciale. I dati indicano una correlazione negativa tra la densità e la percentuale di lavoratori che impiegano per pendolarismo l’ammontare di tempo minore (tra 16 e 31 minuti) e, al contrario, una correlazione positiva tra la densità e la percentuale dei lavoratori per i quali il pendolarismo assorbe un tempo elevato (più di 61 minuti). Questi risultati forniscono una risposta affermativa alla terza domanda e suggeriscono che il lavoro da casa può rappresentare una soluzione per evitare la congestione che colpisce le città più grandi. Inoltre, come atteso, i dati mostrano una correlazione positiva tra densità di popolazione e il prezzo delle abitazioni tra le province. Questo suggerisce, a sua volta, che i lavoratori che possono lavorare da casa saranno attratti dal trasferimento verso aree meno costose, periferiche o esterne alle grandi città.
3 Implicazioni per le politiche pubbliche
Dall’analisi delineata fin qui possiamo desumere varie implicazioni che a nostro avviso dovrebbero orientare le politiche pubbliche dei prossimi anni che saranno presumibilmente caratterizzate da uno sforzo straordinario di trasformazione dell’economia verso gli obiettivi fatti propri dal PNRR.
La disponibilità del lavoro da casa per una parte rilevante, sebbene minoritaria, della forza lavoro rappresenta un allentamento dei vincoli spaziali e temporali per i lavoratori da cui derivano benefici potenziali in termini di risparmio di tempi dedicati agli spostamenti casa-lavoro, maggiore flessibilità e possibilità di conciliazione tra lavoro e famiglia. Il WFH, inoltre, aumenta i margini di scelta residenziale consentendo alle famiglie di spostarsi in aree e città meno costose e meno congestionate. Anche questo può permettere di ridurre i costi e di migliorare il benessere.
Ciò significa che si configura un dilemma per le politiche pubbliche: da una parte, favorire la diffusione del lavoro da casa può generare apprezzabili miglioramenti del benessere delle persone in grado di accedervi; dall’altra, proprio questo scenario di tendenziale svuotamento rischia di indebolire le città peggiorando la loro capacità di generare quei benefici di agglomerazione che dovrebbero contribuire positivamente alla dinamica della produttività, all’innovazione e alla creazione di posti di lavoro qualificati.
La prima implicazione per le politiche pubbliche è di evitare di assecondare la diffusione del lavoro da casa e il trasferimento della popolazione come una facile soluzione per alleggerire le grandi città dei “mali” che le affliggono (alti prezzi delle case, congestione, inquinamento, pressione sui servizi pubblici) senza considerare attentamente i costi in termini di potenziale di crescita che da ciò deriverebbero.
Il PNRR, un piano nazionale che richiede strategie locali
Il PNRR assegna un ruolo centrale alle città, non solo come ambiti territoriali nei quali ricade di fatto una gran parte degli investimenti previsti (66 sono i miliardi allocati a livello locale e regionale) ma anche in quanto soggetti istituzionali coinvolti nello sviluppo delle strategie che indirizzano gli investimenti.
Va segnalata, tra le varie linee di intervento, l’azione su “Rigenerazione urbana e social housing” con la quale si destinano ai comuni sopra i 15000 abitanti contributi agli investimenti per la rigenerazione urbana, finalizzati a ridurre le situazioni di marginalizzazione e degrado sociale e a migliorare il contesto ambientale e sociale. I Piani urbani integrati inseriti nel PNRR sono invece dedicati alle periferie delle Città metropolitane con l’obiettivo di trasformare aree urbane vulnerabili in territori smart, produttivi e sostenibili, limitando il consumo di terreni edificabili. A questo scopo sono previste anche possibili sinergie tra il comune principale e i comuni minori circostanti per cercare di ricucire il tessuto urbano ed extraurbano, colmando i deficit infrastrutturali e di mobilità. Particolare attenzione è dedicata alla creazione di servizi alle persone, all’accessibilità e all’intermodalità delle infrastrutture.
Per questi orientamenti strategici, come per altri rilevanti per le città, il PNRR risulta oggi uno strumento cruciale e un vettore di abbondanti risorse destinate alle città di varie dimensioni orientate a precisi indirizzi programmatici. Tuttavia, proprio la centralità e la molteplicità degli obiettivi in gioco richiedono la definizione di strategie locali che diano coerenza e efficacia agli interventi a livello locale.
Da ciò deriva un’ulteriore implicazione per le politiche pubbliche che merita di essere segnalata, relativa alla distribuzione delle risorse e delle competenze amministrative ai diversi livelli territoriali. Un piano di interventi e investimenti per la realizzazione delle politiche di trasformazione delle città richiede che, al di là del ruolo del governo centrale e delle Regioni, anche le amministrazioni locali delle grandi e delle medie città occupino un posto primario all’interno del piano. Ciò richiede che esse siano in grado di esercitare un ruolo non semplicemente ancillare sia nella definizione delle strategie sia nella realizzazione degli interventi.
Bibliografia
Barbieri, T., Basso, G., Scicchitano, S., (2021). Italian workers at risk during the COVID-19 epidemic. Italian Workers at Risk During the COVID-19 Epidemic. Italian Economic Journal (2021). https://doi.org/10.1007/s40797-021-00164-1.
Bentivogli M. (2020), Indipendenti. Guida allo smart working, Soveria Mannelli, Rubbettino
Bentivogli M. (2021), Il lavoro che ci salverà. Cura, innovazione e riscatto: una visione prospettica, Cinisello Balsamo (MI), Edizioni San Paolo
Bonacini, L., Gallo, G., e Scicchitano, S. (2021a). Working from home and income inequality: risks of a ‘new normal’ with COVID-19. Journal of Population Economics, 34(1), 303-360.
Croce, G. e S. Scicchitano, (2022), Cities and working from home in Italy in the post Covid-19 age, mimeo.
Mariotti I. (2022), Is remote working emptying the city?, Regions, Regional Studies Association, DOI reference: 10.1080/13673882.2021.00001107, https://regions.regionalstudies.org/ezine/article/remote-working-covid/?doi=10.1080/13673882.2021.00001107
Giuseppe Croce (PhD) è professore associato presso Sapienza Università di Roma, dove insegna Economia e politiche del lavoro e Politica economica. Ha pubblicato numerosi articoli in riviste nazionali e internazionali sui temi del mercato del lavoro e politiche del lavoro, del capitale umano e di economia urbana e regionale.
Sergio Scicchitano (PhD) è Primo Ricercatore in economia applicata presso l’INAPP. Premio Kuznets 2022. Section Editor dell’ Handbook of Labor, Human Resources and Population Economics, 2021. È stato Visiting Lecturer presso la Queen Mary Universìty of London. Ha pubblicato numerosi articoli in riviste nazionali e internazionali sui temi del mercato del lavoro e politiche del lavoro, del capitale umano e del cambiamento tecnologico.