LE AREE INTERNE TRA ABBANDONI E RICONQUISTE

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INSIEME A WINDTRE PER RIABITARE I PAESI CONNESSI 

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Roberto Basso Direttore External Affairs & Sustainability WINDTRE

Uno dei rischi più grandi che derivano dal vivere in un’area interna è quella di rimanere isolati. La carenza di servizi digitali e di telecomunicazione adeguati rende difficile lo sviluppo di circuiti economici e sociali, aumentando la distanza con i centri urbani più grandi. Il lavoro sulle infrastrutture digitali è necessario per vari motivi: deve rendere un servizio alla popolazione locale, e attirare pure chi decide di lasciare le metropoli in cerca di una vita più salubre. Una scelta che è possibile soltanto se vengono garantiti servizi essenziali, come ad esempio una rete che funzioni e che permetta agevolmente di fare smart-working. Di questi ed altri temi, abbiamo parlato con Roberto Basso Direttore External Affairs and Sustainability di Wind Tre. L’azienda  è entrata nel gruppo delle Aziende Amiche di Riabitare l’Italia e lavora con l’Associazione per affiancare a  “Borghi Connessi” – un progetto che mira a ridurre il digital divide di cui soffrono molti piccoli comuni italiani – un’attività di accompagnamento nell’ottica della Visione Strategica a medio e lungo termine.

Qual è il ruolo che un operatore di telecomunicazioni quale WINDTRE può avere nell’aiutare i piccoli comuni a superare il rischio spopolamento?

Alla radice dello svuotamento demografico dei comuni minori c’è la tendenza globale a concentrare ricchezza e sviluppo nelle grandi città, che di conseguenza attirano lavoratori e famiglie in cerca di opportunità per migliorare la propria esistenza. Questa migrazione comporta anche importanti rinunce in varie dimensioni della vita che contribuiscono a determinarne la qualità. La crescente consapevolezza dei problemi della vita urbanizzata potrebbe dare ai centri minori delle aree interne una nuova opportunità ma per concretizzarla è necessaria la presenza di un’economia locale vivace. Le infrastrutture digitali sono un fattore abilitante appunto per le economie locali e WINDTRE investe per collegare le persone e i luoghi. Siamo l’operatore con il maggior numero di clienti in Italia per il servizio cellulare e tra i primi per le connessioni fisse, sia in fibra che in accesso senza fili – il fixed wireless access o FWA che sta aiutando a raggiungere anche zone dove la fibra risulterebbe particolarmente onerosa.

Quanto è importante garantire in questi territori a rischio di spopolamento un servizio adeguato di digitalizzazione?

Se parliamo di digitalizzazione dobbiamo allargare il discorso dalla disponibilità delle infrastrutture alle competenze necessarie a trarne un beneficio. In altre parole, mentre per guardare un film o una partita di calcio basta saper usare un telecomando, per commercializzare ovunque prodotti tipici del territorio bisogna sapere qualcosa in più. Non è necessario diventare esperti digitali, basta capire che cosa si può fare con il digitale, come può aiutarci a sviluppare un’attività artigianale o agricola. Per questo stiamo investendo da anni per mettere a punto un modello di educazione digitale con il quale accompagnare le persone nell’utilizzo delle nuove tecnologie, allo scopo di sfruttarne le potenzialità. 

Qual è l’obiettivo principale del progetto “Borghi Connessi” di WINDTRE e come viene affrontato il digital divide nei piccoli comuni italiani attraverso questo progetto?

Il nostro obiettivo è di sviluppare l’attività economica nel settore delle telecomunicazioni con la consapevolezza che dal nostro ruolo possono dipendere i destini di intere comunità. Nel caso delle aree interne, questa missione ci ha portato ad ascoltare i sindaci e i bisogni dei territori. Abbiamo trovato la genuina ambizione di invertire il trend dello svuotamento demografico ma anche una grave carenza di competenze e strumenti per lo sviluppo. Così ci siamo impegnati ad affrontare il deficit di competenze sul territorio, sviluppando programmi di formazione anche per il personale dell’amministrazione pubblica e per le energie economiche locali. Purtroppo non basta, bisogna fare di più, perché alcuni requisiti strutturali sono indispensabili. E non parlo soltanto di infrastrutture digitali bensì di collegamenti stradali e ferroviari, scuole, presidi sanitari e di alcuni servizi commerciali come l’edicola o la farmacia. Vorremmo contribuire a sviluppare un approccio sistematico e rigoroso al rilancio delle aree interne.

Quali caratteristiche accomunano le aree (territori) coinvolte nel progetto?

Sicuramente la distanza geografica dai nodi urbani che offrono alcuni servizi essenziali. Spesso la disponibilità di un patrimonio artistico e paesaggistico originale e prezioso, così come di altre risorse culturali, tra le quali includo anche l’enogastronomia e produzioni agricole specifiche. Sotto questo profilo, esiste una specializzazione che può diventare un vantaggio competitivo, una risorsa per l’attrattività. Ma credo che si debba uscire dalla logica dell’offerta turistica ed entrare in quella dello sviluppo, cercando di attrarre anche residenti temporanei e persone che vogliono cambiare lavoro e stile di vita, alimentando le comunità e le economie locali. 

Qual è l’elemento chiave per raggiungere gli obiettivi di inclusione digitale e sociale in questi territori?

Come ho già ricordato, dobbiamo partire dall’educazione e dallo sviluppo di nuove competenze. Abbiamo adattato e specializzato per le aree interne il programma NeoConnessi, con il quale abbiamo raggiunto un milione e mezzo di bambini di quarta e quinta elementare in tutta Italia, per promuovere l’uso consapevole della rete e delle nuove tecnologie. Adesso stiamo lavorando a programmi per gli artigiani e i piccoli imprenditori.

Perché secondo voi è importante stringere collaborazioni con un’associazione come Riabitare l’Italia sensibile alle tematiche delle aree interne italiane?

Gli amministratori locali ci chiedono un supporto per rilanciare le loro comunità. Sono genuinamente impegnati nella ricerca di soluzioni. Talvolta, però, rischiano di cadere nella trappola della semplificazione e di pensare che basti la connettività per attirare centinaia di nuovi cittadini. Purtroppo non è così, perché lo sviluppo economico e sociale è possibile soltanto in presenza di alcuni requisiti “hard”, oltre a quelli “soft” come le competenze. La collaborazione con Riabitare l’Italia, e con altre realtà che insistono sul tema dello sviluppo territoriale, ha lo scopo di mettere a punto una “cassetta degli attrezzi” da consegnare a questi sindaci. Non si tratta di soluzioni prefabbricate, perché non crediamo al modello “one-size-fits-all”. Siamo convinti che a queste comunità servano strumenti concreti per progettare il proprio futuro partendo da se stesse, dalle proprie specificità. 

Qual è il contributo che può dare e ha dato Riabitare l’Italia a questa iniziativa?

Le persone di Riabitare l’Italia hanno maturato uno straordinario patrimonio di competenze grazie al lavoro fatto sulla Strategia Nazionale Aree Interne, per la quale auspichiamo un rilancio. Non si tratta soltanto di nozioni ed esperienza ma di un metodo costruito nel tempo, con il quale riteniamo di poter aiutare decine di comuni ad avviare la propria progettualità. Insomma, si tratta di evitare di incorrere in errori ovvi come la sottovalutazione di gravi carenze strutturali, di individuare i livelli di governo da coinvolgere per superare gli ostacoli, ma anche di evitare di spendere tempo per cercare di reinventare la ruota, data la disponibilità di uno straordinario patrimonio di analisi statistica e indicatori specifici.