LE AREE INTERNE TRA ABBANDONI E RICONQUISTE

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Lento pede: un sogno con i numeri

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di Sonia Serazzi

E’ un Sud dal passo fondo quello di Domenico Cersosimo e Sabina Licursi, un economista e una sociologa, che hanno curato un pregevole volume collettaneo dal titolo Lento pede, appena pubblicato da Donzelli. Il lavoro si inserisce nella più vasta indagine di Riabitare l’Italia, che punta efficacemente a liberare dalla metrofilia e dal pregiudizio urbanocentrico lo sguardo che indaga le aree interne, quelle terre dell’osso spesso considerate dure ma da spolpare senza indugio, magari stringendole nel laccio di narrazioni che marginalizzano le periferie. Quasi che il centro fosse il meglio, in una metafisica dei luoghi inventata a vantaggio di chi il centro lo occupa. La sapienza gentile di Lento pede si snoda invece nell’implacabile rigore con cui gli autori coinvolti nell’indagine, tutti docenti e ricercatori dell’Unical, fuggono la lettura romanzata della Calabria, eludendo così quella che Peter Brooks – professore emerito di letteratura comparata a Yale – considererebbe la seduzione delle storie, fascinosi artifici che annientano la ricerca del vero in favore dell’intrigo. 

Le pagine di questo saggio affilato sono intrise di vite raccolte al telefono e di dati concreti, rilevati con indagini sociologiche e statistiche scrupolose, a loro volta corroborate da numeri inoppugnabili. Eppure nella scienza appassionata si respira il futuro, il non ancora, di cui Fulvio Librandi scrive in una raffinata postfazione al testo. Se le riflessioni di Lento pede aderiscono lucidamente ai territori rarefatti delle aree interne – ribadendo la cifra stilistica che anima e sorregge l’intero progetto di Riabitare l’Italia – la forza specifica delle pagine curate da Cersosimo e Licursi è quella di sperare il futuro, di sospettarlo in mezzo alle pieghe faticose del mondo intorno, di prepararlo con lo sguardo finché non viene. E magari davvero capita che gli orizzonti svaniscano per quelli che campano a occhi bassi, schiacciati nei cunicoli dei bisogni, allora vale molto la parola scritta che addita un verso e un senso per tutti. E quella parola accende progetti e restituisce libertà, perché chi cancella il possibile non ha più scelta, quindi si fa bastare una sola via. O si siede.

Lento pede ci scomoda tutti e ci convince ad abitare davvero una terra modesta di luoghi poveri e scarsamente popolati, che rivelano però certe densità esistenziali capaci di premere verso il domani, di spingere in avanti: “Se i bambini e i giovani sono pochi, è doveroso riservare loro più cura e attenzione. Se gli alunni scarseggiano, è più urgente scovare e praticare metodi didattici e modelli organizzativi congrui con la scarsità. Se le case vuote sono molte, è tanto più importante attivare interventi per attrarre nuovi abitanti, permanenti e temporanei. Se le imprese difettano, ancor più imperativo è incoraggiare e favorire la nascita di nuove iniziative imprenditoriali centrate sulla valorizzazione dei potenziali locali e sui bisogni dei residenti”.

Questa adesione al reale – senza retorica magnogreca, sanguinolenta o piccante – mi pare rettamente corrispondere a quella terza missione che l’Accademia dovrebbe perseguire: ricerca e formazione interagiscono efficacemente con la società civile e la trasformano.

“Il problema degli altri” – scrive don Lorenzo Milani – “è uguale al mio. Uscirne tutti insieme è la politica, uscirne da soli è l’avarizia”. Lento pede dice di crisi demografica e occupazionale, di povertà educativa e culturale, di trasporti negati, di sgretolamento del welfare e della sanità pubblica e lo fa individuando i problemi di tutta l’Italia decentrata, a Nord come a Sud. Sicuramente rilevare le patologie di aree in cui le fragilità del sistema sono più esposte consente di immaginare soluzioni utili a rafforzare la fisiologia del Paese intero. In breve: Cersosimo e Licursi raccolgono e appuntiscono diagnosi accuratissime, partecipi e insieme severe, ma credono fermamente nella salute possibile e nel valore dell’azione politica: “Le politiche dovrebbero aprire nuovi spazi, creare nuove amenities, spostare l’ago della bilancia a favore del radicamento piuttosto che della partenza, alzare il vento dell’innovazione e non abbassarlo, considerare che la propensione delle persone a restare dipende da svariati fattori individuali e di contesto (…). Servirebbe l’azzardo di adottare politiche oggettivamente squilibrate ma dirette a garantire quella parità di condizioni da cui le aree più svantaggiate sono sempre più lontane.”

Puntare su uno squilibrio che pareggi e corregga sembra dunque la contorsione feconda che questo libro ci consegna come compito, quasi un lavoro di cucito da fare di notte aguzzando la vista, per distinguerlo dai sogni che esigono palpebre calate.

Sonia Serazzi (Napoli 1971), scrittrice, vive e lavora in un piccolo paese della Calabria interna. Per Rubbettino editore ha pubblicato i romanzi Non c’è niente a Simbari Crichi (2004), …E le ortiche c’hanno ragione (2006), Il cielo comincia dal basso (2018) e il dialogo epistolare Chiedo istruzioni ogni notte con Antonio Cavallaro (2022).